“I PIZZEGAMORTI e LA DANZA DELLA MORTE CHE BALLA.”
E’ già stato detto e scritto molto e bene, quasi tutto, sulla peste a Venezia. Esistono volumi, cataloghi, video magistralmente curati da persone che hanno dedicato molto tempo, competenza e capacità su questo tema. Ci si deve accontentare quindi, solo di chiosare e sottolineare qualcosa, recuperando qua e là notizie sicuramente già dette ed evidenziate.
Premesso questo, scrivo di due aspetti curiosi su questo argomento certamente tipico veneziano.
Il primo: “i Pizzegamorti”.
Ancora mia nonna e mia madre, quand’ero piccolo, continuavano a raccontarmi (fra le altre mille cose curiose) del “pizzeghìn”, quello che tutti chiamavano“beccamorti”. Me lo dipingevano come un personaggio quasi da fiaba. Non era solo il becchino scavafosse, non solo un uomo fisico, ma uno che passava una volta in vita quasi “pizzicandoti nel flagrante del tuo vivere”, dicendoti:
“E beh ! Caro mio, ora si muore !”
Ed era perciò sorpresa, e che sorpresa ! E ti accadeva spesso quando meno te l’aspettavi.
Quello che mi è rimasto della descrizione di quel personaggio impossibile, è quel tono quasi ironico con cui ti veniva a “pizzicare a sorpresa”, quasi fosse una burla, una presa in giro.
Il supercelebre Alessandro Manzoni parlando della peste, chiamava con nome di“Monatti” quelli che a Venezia si dicevano: “i Pizzegamorti”.
La loro identità, il loro mestiere, era quello di raccattare i morti di peste per sistemarli definitivamente. Erano quindi non fiaba ma personaggi in carne ed ossa. E nella realtà storica di Venezia furono uomini “all’opera” davvero spietati, tenebrosi, che “facendo di necessità virtù” in quei tempi incresciosi di morte e dramma sociale, “ripulivano a fondo” l’intera città e le isole circumvicine.
La cronaca veneziana dell’epoca non è avara nel ricordarli e descriverli.
“1575 settembre 29 Francesco Ceola barcarolo, alle prime avvisaglia di peste si offre come Pizzegamorto, avendone già avuto esperienza in un’altra pestilenza, chiedendo in cambio la gestione del primo Traghetto che si libererà per la morte del titolare. La proposta viene accettata subito dal Provveditore alla Sanità di Venezia.”
“ … 1579 luglio 9: furono eletti 3 nuovi Pizzegamorti, assegnando a ciascuno “la libertà” (la concessione in gestione) dei Traghetti sul Canal Grande di Santa Sofia, della Maddalena e della Dogana da Mar…”
All’apice del tempo di peste, ci fu difficoltà a trovare in giro gente disposta a compiere quel lavoro così truce e nero di trasportare i cadaveri e provvedere all’espurgo delle loro case e di tutte le cose infette.
I “Pizzegamorti” arrivarono spesso a Venezia da fuori città: dalla Terraferma, dall’Istria, Austria, Friuli e Lombardia …. Attirati oltre che dallo stipendio corposo, anche dalla possibilità di saccheggio e sciacallaggio sui beni degli appestati.
“ … S’introdusse l’uso di corde catramate e certi uncini di ferro per porre i cadaveri in certi carretti appositi costruiti dall’Arsenale. Venivano poi disposti dentro a 50 burchielle costruite sempre dall’Arsenale, e scortate fino al Lido, dove con dei cavalli venivano condotti alle fosse comuni preparate per tutti … dove si seppellivano nudi i cadaveri e si bruciavano tutte le vesti …”
“ … Nel 1576 per la gran puzza non si potevano più bruciare i morti che crescevano di giorno in giorno così in un camposanto del Lido in un luogo detto Cavannella, dove vennero scavate delle fosse … si mettevano una mano de corpi una de calcina viva et una di terra et così di mano in mano fino a che ne potevano stare … I morti di rispetto si potevano seppellire in casse nell’isola di San Ariano vicino a Torcello … “
Nel 1576 e nel 1630 , “ … i Pizzegamorti erano coperti da casacche di tele forti catramate, con misture di profumi e materie opportuni … alle quali furono poi aggiunti calza braghe e guanti dello stesso tipo … Portavano anche attaccati alle gambe, come dei saltimbanchi, dei campanacci d’ottone, dei sonagli, per avvisare della loro presenza …”
Erano persone davvero malvagie, fino ad essere dei veri e propri criminali.
” … erano spesso reclutati fra ex galeotti e carcerati, o tra sbandati e vagabondi … ed erano protagonisti di ruberie e violenze di ogni sorta, nonostante la vigilanza dei Provveditori alla Sanità, che non esitavano a fucilarne qualcuno fra i più facinorosi …”
1576 luglio 14: Francesco Mantovano condannato alla galera per bestemmia, gli viene annullata la pena in cambio di fare il Pizzegamorti, ma morì presto di peste dentro al Lazzaretto in cui prestava servizio.
15 novembre 1630: il Senato dello Stato veneziano promette 20 ducati mensili anticipati ai nuovi Pizzegamorti liberati per decreto fra i carcerati. In pochi giorni i Pizzegamorti divennero 300 e furono costretti il 12 dicembre a licenziarne 100.
Un Notaio dell’epoca li descriveva:
“… Una turba di semincoscienti che calavano a Venezia allegramente, come se fossero stati invitati ad un pranzo di nozze … Spesso ebbri di vino, e attenti più che ai malati alle prostitute spedite in servizio coatto ai Lazzaretti come donne di fatica … Erano inumani … I cadaveri da loro ammassati nelle burchielle venivano maltrattati dai seppellitori … che oltre a commettere coi viventi ogni scelleraggine carnale, non la risparmiavano neanche ai morti … Due ragazze, perfino, furono gettare vive alla fine nelle fosse comuni … salvate proprio alla fine da alcuni uomini … Una di queste, per il terrore cambiò persino voce …”
Lo Stato Serenissimo di Venezia, non si affidava solamente alla capacità di pulizia dei Pizzegamorti. Era abilissimo a gestire in proprio quelle calamità tremende (come ad esempio quella del 1630) che furono capaci di disfare e devastare mezza Europa.
Venezia vigilava la Via di terra, ai “cancelli, alle rastre …” sui confini di Venezia. Lì non passava nessuno. Dei Nobiluomini veneziani scelti sostavano in continuità con delle guardie e impedivano a chiunque d’entrare ed uscire da Venezia e Dogado senza regolare patente di sanità concessa dal Magistrato preposto alla Sanità di Venezia.
Venezia vigilava ancora di più sulla Via del mare. Qualsiasi legno capace di galleggiare che si affacciasse in laguna, veniva subito preso e condotto in quarantena fino a che tutto quello che conteneva: uomini, merci, animali, viveri e qualsiasi altra cosa, fosse sufficientemente bonificato, “spurgato”, e garantito come non pericoloso per Venezia e tutti i Veneziani.
Primi in Europa, i Veneziani s’inventarono il Lazzaretto, ossia un luogo, spesso un’isola, dove appunto si confinavano i contagiati e s’impediva la diffusione ulteriore del morbo. Ma soprattutto era un luogo dove si provava a pensare e ipotizzare una possibilità di scampo e guarigione.
Ma nella storia Veneziana, è giunto spesso un momento storico, in cui tante precauzioni e attivazioni si rivelarono palesemente inutili.
Le cronache d’epoca continuano a raccontare di quando ai “restrelli di confine rovesciati e divelti …” non c’era rimasto più nessuno a custodirli, e tutti andavano e venivano come volevano da una città ridotta a un fantasma. Le cronache raccontano anche di quando un famoso carretto di Terraferma, di Mestre, usato dai frati per portare soccorso e cibo in giro, e raccattare malati, moribondi e morti per le campagne, fu trovato rovesciato sul ciglio di un fosso, coi frati morti anche loro, schiantati dal morbo. Sembrò proprio la fine di tutto.
Solo allora scattò un “piano B”. I Veneziani non erano mica tanto bigotti. Per cui solo a mali estremi, ci si affidava ad estremi rimedi. Solo quando si vedeva che non funzionavano più le cose come si sperava, e la peste era davvero incontenibile, allora ci si rivolgeva ai Santi protettori della Peste. Entrava in campo la triade, “il Terzetto” dei Santi da invocare contro la pestilenza: San Rocco, rappresentato col bubbone all’inguine, San Sebastiano trafitto da mille frecce, che corrispondevano ai “morsi” della peste, e i Santi Medici, di provenienza orientale, ossia dai luoghi da dove spesso proveniva la peste: i Santi Cosma e Damiano: “medici super”, tanto da essere dichiarati santi.
Siccome anche questo non bastava, e i Veneziani non sapevano proprio più dove andare a sbattere la testa, lo Stato in persona si rivolgeva a Dio e alla Madonna, finanziando voti e facendo innalzare enormi santuari, implorando qualche salvezza per tutti.
E che santuari ! Basti pensare, fra tutti, alla Madonna della Salute, e al Redentore, monumenti splendidi della nostra Venezia, legati a feste e tradizioni, che ancora oggi celebriamo a quasi 400 anni di distanza.
Badate bene, ho detto: “CHIESA SANTUARIO DI STATO”. Venezia non aveva bisogno di chiese, ne possedeva già a centinaia sfornate da preti, monaci, monache e devoti in tutte le foggia, stili artistici e ricche decorazioni. In quei momenti della peste, era il Doge in persona a porre il cappello per terra e inginocchiarsi per chiedere un po’ d’aiuto, a chi forse sarebbe stato capace d’inventarsi l’impossibile. E tutti i Veneziani facevano altrettanto. E per far questo, la Serenissima ha sborsato somme davvero ingenti per decine di anni, quasi quanto per una guerra, perché per costruire quei chiesoni, servivano tanti soldi e una consistente manodopera, nonché capacità artistica, di cui Venezia sapeva scegliere il meglio in circolazione.
Veneziani creduloni in quell’epoca ? Non credo, o perlomeno non più di noi oggi.
La seconda curiosità, è che a Venezia, in realtà più che di Lazzaretto, nome riferito all’episodio evangelico di Lazzaro morto resuscitato dal Cristo, ad un certo punto si cominciò a parlare anche di Nazaretum , ossia di un’isola dove sorgeva la chiesa di Santa Maria Rinascente di Nazareth, un luogo quindi di speranza, dove tornare a vivere quotidianamente, normalmente, da cui si poteva ritornare come redivivi dai morti, re(i)nati … risanati.
In quell’isola si respirava un’aria vaga di conforto, nonché d’assistenza e accudimento, che induceva ad accettare e affrontare quell’immenso dramma mortale che circondava tutti, e stava devastando i propri affetti e l’intera città.
Nel 1576 Sansovino nel corso della pestilenza descriveva quell’isola.
” …Si trovavano in osservazione circa diecimila persone e nelle acque circostanti più di tremila imbarcazioni, fra grandi e piccole, che assumevano quasi l’aspetto d’una armata che assediasse una città di mare … A questi si aggiungevano: serventi, ministri e la truppa … 8000-9000 persone ogni giorno venivano alimentate dalla Repubblica durante questa calamità … Magazzini immensi di medicine e di viveri, sacerdoti, medici, chirurgi, farmacisti, levatrici, tutto era qui pronto … cento camere et con una vigna serrata … E con ordine ogni cosa veniva distribuita.
I presenti per lo più poveri venivano sfamati a spese dello Stato … Ogni giorno all’impressionante città galleggiante si aggiungevano 50 barche. I nuovi arrivati venivano accolti gioiosamente con applausi e a loro veniva detto “…che stessero di buono animo, perché non vi si lavorava, et erano nel paese di Cuccagna …”
Allo spuntare dell’alba arrivavano i “visitatori” che scorrendo l’isola, il Lido e la flotta, s’informavano minutamente sullo stato di ciascuno per far trasferire al Lazzaretto Vecchio gli appestati … Non molto dopo arrivavano altre barche con ogni sorta di commestibili da essere dispensati in ragione di 14 soldi per bocca … A queste barche seguivano quelle dell’acqua tolta dal Sile, e sorto il sole, tutto si metteva in quiete perché in mezzo al Lido si celebrava la messa davanti a questa flotta ancorata al Lido … Al tramonto le turbe divise in due cori cantavano le Litanie e i Salmi, mentre di notte ogni cosa rimaneva in alto silenzio e non era permesso il minimo rumore … Un immensa quantità di ginepro raccolto in pire si faceva ardere notte e giorno sul lido spargendo l’odoroso fumo a grande distanza sulla laguna e sul mare … A certe ore del giorno veniva permesso a parenti ed amici di recarsi dai congiunti, discorrere con loro da lontano e regalare vivande e rinfreschi … Ogni giorno giungevano fino 50 o 60 barche e lunghi applausi accoglievano i partenti … Chiunque fosse stato sospettato di peste veniva condotto qui e se non avesse avuto mezzi sufficienti si alimentava per 22 giorni a pubbliche spese … Se in quel lasco di tempo si fosse manifestato veramente infetto si sarebbe trasportato al Lazzaretto Vecchio, altrimenti trascorsi i giorni poteva rimpatriare … Così la popolazione di Venezia passo’ di qui e per la vicina San Erasmo … Qui vennero costruiti grandi case di legno, e si ancorarono all’isola vari ARSILI o vascelli dismessi o galere sfornite, ed alcuni vascelli spalmati sui quali si costruirono altre case … Nel corso degli anni la stessa Vigna Murata non fu sufficiente allo scopo, e per questo si allestirono nella prospiciente isola di San Erasmo nuove abitazioni ed ancore vecchie galere e vascelli furono ormeggiati in prossimità del Lazzaretto Nuovo e adibiti alle necessità … La particolarità del luogo e la sua pericolosità venivano ricordate da un vascello sul cui albero sventolava una bandiera che indicava il limite oltre il quale non bisognava avvicinarsi. A scoraggiare eventuali trasgressori era stata eretta una forca, castigo per tutti quelli che avessero osato disobbedire agli ordini dei provveditori sopra la Sanità … “
Fra queste righe appare uno strano spiraglio di pensiero, che finisce col sfociare nella seconda curiosità, che vi spingo a leggere.
“State di buon animo … Si applaudiva, a sera si cantava …”
Si sente che insieme al dramma vissuto della morte e della devastazione portata dalla peste, si celebrava anche il dramma di qualcosa d’inverosimile. Una morte quasi da sfidare, canzonare, quasi provocare.
Si finì col valorizzare e parlare di una morte che “danzava e ballava”.Un’immagine guascona, impenitente e quasi sacrilega, che però apriva uno spiraglio d’interpretazione futura diversa, finendo col riversare sul dramma presente da affrontare, una luce inimmaginabile, impensata. Una morte che balla fa meno paura, è meno macabra, meno spauracchio distruttivo. Una morte che danza apre e festeggia perché induce a qualcosa di diverso e di nuovo. Una specie di festa paradossale alla rovescia … Una disfatta speranzosa, che pur mantenendo la sua crudezza ineludibile, e l’orribile disfacimento di tutto quel che siamo, sa comunque provocare il canto e la festa.
Il bello, è che quell’idea non era mica solo veneziana. Tutt’altro. L’idea della“danza della morte che balla”, è molto vecchia, presente e diffusa in gran parte dell’Europa. Ma non solo, si trova anche in culture diverse da quella Cristiano-Cattolica, e in luoghi ben lontani dalla “Culla dei Papi di Roma”.
La pagina della “morte che balla” è presente anche in Asia, in Africa, in Oceania, in Scandinavia, in America e in altre culture antichissime. Quel concetto non è quindi solo legato alla fede e alla convinzioni religiose, ma è una specie di patrimonio umano quasi sovratemporale e multietnico.
Esiste tutta una letteratura al riguardo con un catalogo nutritissimo di dipinti, affreschi, stampe, rappresentazioni su questo tema.
Il significato è interessante: la grande tragedia finale non è l’ultima parola finale, ma fa intuire come in filigrana “un qualcos’altro, un oltre, un di più misterioso”, di cui ci sfuggono dinamiche, dimensioni e contorni … ma che potrebbe finire per esserci. E quindi, si può in ogni caso ben sperare …
Ritornando infine al “pizzeghìn” di mia nonna, mi diceva che: “ … era uno che ti viene come a pizzicare di sorpresa, quando meno te l’aspetti, come uno scherzo potente … Forse lo scherzo più grande possibile della tua vita … Lo scherzo finale che ti burla definitivamente … Però è una pizzicata speciale, furbastra, quasi maliziosa … Una specie di sfottò che si fa pallida speranza … Come quando tiri un pizzicotto gentile a una bella ragazza … che successivamente può risponderti con un violento ceffone … oppure può accadere di tutto. Può spuntare un viso che arrossisce, o magari spuntare un sorriso … e poi forse una storia … e poi forse … chissà ?”
Mia nonna aveva fatto da sola la sintesi fra storia veneziana, “morte che balla”e fantasia. E brava nonna !
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NOTIZIA STORICA CONCLUSIVA:
Dal luglio 1630 all’ottobre1631: fra città e lazzaretti morirono a Venezia: 46.690 persone, mentre in totale nel Dogado con Murano, Malamocco e Chioggia ci furono: 93.661 decessi, suddivisi così:
o Donne da parto: 11.486
o Figlioli: 11.486
o Putte d’anni 14 sin 25: 5.043
o Putti e putte: 9.306
o Donne e refuso: 29.336
o Preti e frati: 1.129
o Nobili: 217
o Mercanti ed artesiani: 25.208
o Ebrei: 450